L’isola del tesoro (1956-1958)
Dramma musicale in tre atti e sette quadri, dal romanzo omonimo di Robert Louis Stevenson
Testo e musica di Vieri Tosatti
(Prefazione al dramma)
Nel secolo in cui viviamo, il teatro musicale in Italia ha segnato un’involuzione – una destituzione degli alti valori drammatici a vantaggio di una teatralità contingente e spicciola. La colpa non è di alcuno, perché è di tutti:
le organizzazioni, che hanno stabilizzato un repertorio vieto, senza discriminazione fra opere d’arte e opere non d’arte, sulla base di presupposti finanziari che oggi si dimostrano infondati;
i critici, che hanno gareggiato via via nel rivalutare (com’essi dicono) detto repertorio, talvolta proprio negli aspetti più deteriori, parlando di «immediatezza» là dove manca la poesia;
il pubblico, che ha incoraggiato il fenomeno del divismo (oggi recrudescente), ripristinando l’applauso a scena aperta, plaudendo alle arie di bravura dei divi, nonché al loro lazzi e ai loro affari privati; mostrando comunque di non intendere lo spettacolo come fenomeno spirituale, culturale: bensì serata mondana;
gli autori infine, già all’inizio del secolo con la scuola «verista», peggio in questi ultimi anni con altri veristici saggi (una rara eccezione è, ad esempio, la concezione teatrale di Pizzetti), hanno ignorato le possibilità drammatiche del contenuto musicale, estrovertendosi all’effetto scenico, a quella teatralità spicciola che si è detto. Hanno dichiarato (e ampiamente dimostrato) che per fare del teatro occorre musica mediocre: di genere, di effetto; possibilmente volgare o per lo meno «non di concetto». Il vero dramma musicale, appena venuto alla luce in una dozzina di esemplari, fu derelitto dagli apostoli dell’arte, che lo giudicarono inattuale; perché si avvidero che – se non più attuale – era almeno più agevole volgersi al gioco scenico, alla musica del gesto. E citarono parole di Giuseppe Verdi, e fecero tanta altra retorica a sostegno e programma di un teatro di cartapesta.
Ciò è triste per chi, come me, tanto profondamente ama il Teatro e altrettanto profondamente disprezza la teatralità; per chi, come me, ama la musica di espressione e non sopporta quella di commento; che ama il personaggio – sì – ma ancora più il sentimento che questi ha da esprimere; per chi insomma, come me, ama il «dramma musicale» (quello di Wagner, per intenderci) e detesta – con un misto di orrore e attonita ammirazione – la (ahimé) consueta «opera lirica».
Ecco quanto posso dire (e desidero dire) nel presentare il mio dramma musicale «L’isola del tesoro»; ed ecco perché ho voluto che la sua prima esecuzione avesse luogo alla Radio, fosse cioè puramente musicale, onde presentare all’ascoltatore le capacità drammatiche della sola mia musica, senza possibilità di equivoco sul gioco scenico – come altre volte accadde. Chè, se un’opera di teatro deve possedere virtù teatrali, ciò è cosa ovvia e nessuno intende negarla – e non fa bisogno sbandierarla a programma estetico; ma se deve anche essere opera d’arte, occorre esaminarla dal suo più essenziale punto di vista, il che non è facile: più possibile, spero, se la rappresentazione in teatro è preceduta da un’audizione musicale.
Queste parole avrei potuto usare anche per il «Giudizio Universale», dove invece il piano d’azione fu l’inverso, e cioè la semplice audizione (avvenuta in un secondo tempo) fece meglio giudicare un dramma che alla rappresentazione in teatro era stato compreso del tutto alla rovescia. Non mi riferisco invece alle due opere precedenti, perché la prima – «Diòniso» – se pure di giusta impostazione drammatica, era però manchevole nella realizzazione: pertanto non fu rappresentata (ed è augurabile nel comune interesse del pubblico e del mio buon nome che mai lo sia). La seconda – «Il sistema della dolcezza» – è stata più fortunata, ma presenta un aspetto ambiguo (oltre che di minore impegno musicale) – un compromesso fra il «dramma» e l’«opera»: come tale non rientra nel discorso.
A conclusione del quale – e a definire una mia produzione teatrale iniziata dodici anni or sono – io credo di aver proposto (col «Giudizio Universale» e con «L’isola del tesoro», e qualunque sia il valore di queste opere) un certo tipo di dramma musicale, di un certo impianto non sperimentale e tuttavia non quadrabile nelle tradizioni italiane del teatro d’opera.
Vieri Tosatti
(Roma, aprile ’58)